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San Martino
" Fare San Martino"
San Martino, l’11 novembre, è sempre stato un giorno particolare per la Pianura Padana, carico di significato sia religioso che sociale. La celebrazione di San Martino è legata all’antico ciclo agricolo: in quel giorno si concludevano i contratti di lavoro agricolo e si svolgevano i “traslochi di San Martino”. Gli affittuari, i contadini e le mondine che avevano lavorato nei campi per tutto l’anno, alla fine della stagione estiva e del raccolto, si trovavano a dover lasciare i terreni o le case dove avevano vissuto, se il padrone non rinnovava loro il contratto. Questo significava dover partire con tutti i propri averi, alla ricerca di nuove terre o nuovi casolari dove trovare impiego e alloggio.
La ricorrenza segnava un momento di grande fermento, anche perché coincideva con un simbolico termine del ciclo agricolo. Da qui l’espressione “fare San Martino”, ancora usata in Italia settentrionale per indicare un trasloco. Le famiglie contadine caricavano le loro masserizie su carri trainati da buoi o cavalli e, spesso, percorrevano chilometri fino a raggiungere il nuovo luogo di lavoro. Si trattava di un giorno di bilanci: il raccolto era ormai chiuso, e con esso i contratti stagionali. Le mondine, simbolo del lavoro duro e sacrificato nelle risaie della Pianura Padana, erano tra le figure protagoniste di questi “traslochi”, alla ricerca di nuove risaie da coltivare e di nuove opportunità.
Il clima autunnale, i colori freddi e umidi della pianura, le famiglie e gli animali in viaggio sui sentieri fangosi delle campagne lombarde, emiliane e piemontesi, creavano un’immagine nostalgica ma anche aspra e realista della vita contadina. Nel folklore popolare, questo giorno era anche l’occasione per momenti di festa: le famiglie contadine, quando i traslochi erano terminati, si riunivano per banchettare con piatti tipici, come la prima polenta della stagione, e si beveva il vino novello, appena spillato dai tini.
In un contesto di grande precarietà sociale e materiale, la festa di San Martino rappresentava un’occasione di resilienza per i lavoratori agricoli: l’inizio di un nuovo ciclo per chi riusciva a stipulare un nuovo contratto, e il momento di speranza e di attesa per chi ancora doveva trovare una nuova collocazione.